domenica 20 novembre 2011

Intervista su LETLOVEGROW

 My Foolish Heart: un negozio di roba usata nel centro di Torino

I My Foolish Heart sono una bellissima realtà della musica indipendente italiana. Un’unione raffinata di jazz, etnomusic e folk. Sostenitori, se non portatori puri, di una musica che fa viaggiare la mente. Ne abbiamo parlato con loro, il risultato sono queste righe.

Il titolo del disco “Ocean Ocean” rimanda ad un’estensione pressoché infinita, quella dell’oceano, ed il vostro suono – allo stesso modo – risulta sempre più disteso. Quali sono i limiti o i confini che avete costruito intorno a voi? Probabilmente limiti reali non ce ne sono, ma certamenteci sarà un confine che vi separa da ciò che non vorreste mai diventare..


In realtà un limite reale ce l’abbiamo.Avendo un budget limitato per non dire nullo, ci ingegniamo a suonare tutto ciò che ci capita, giungendo ai nostri scopi per vie traverse: un bidone suona come un timpano, una cetra giocattolo come un’arpa, un bicchiere diventa una percussione. Così i limiti si traducono in una immensa risorsa, e l’approccio casalingo conferisce alla nostra musica un’intimità, una pulsazione particolari. Questa è la nostra dimensione creativa e credo che, anche se un giorno ne avessimo la possibilità, tale rimarrebbe. 

L’uscita è prevista per il 1 Dicembre, un giorno non proprio caldo, anzi. Eppure, nell’album, due elementi ad alta temperatura ci sono. Intravediamo il primo già nella seconda traccia “A Lawn Sprinkler”: il pianoforte. Com’è stato l’approccio a questo nuovo tassello del vostro puzzle-sound?
 
Con Paolo Maggiora, il pianista, ci siamo conosciuti alcuni anni fa e non c’è mai stato bisogno di spiegarsi a parole. Non ci vediamo mai e ci sentiamo pochissimo, ma potremmo incontrarci per suonare insieme e ne uscirebbe sempre qualcosa di idilliaco. La nostra collaborazione artistica è un perfetto esempio di sintesi.

“Let’s Jam The Brakes” – invece – ci porta in una spiaggia tropicale. La sua grande abilità, a mio avviso, è proprio quella di riportare in un’atmosfera di caldo e d’estate..
 

Con il freddo che sta arrivando credo possa avere un senso. L’estate di due anni fa abbiamo ascoltato tantissima musica brasiliana, soprattutto Caetano Veloso, e volevamo che nel nostro disco qualcosa suonasse un po’ così. Magari un po’ naif perché non abbiamo le capacità tecniche per far suonare un brano come “veramente” brasiliano, ma credo che alla fine ascoltandola un po’ di quell’entusiasmo esca fuori…

“Sootiness, sonsy girl” era troppo bella per escluderla dall’album..?

E’ esattamente così. Ma se non fosse stato per la Happy/Mopy (etichetta discografica dei My Foolish Heart, ndr), non l’avremmo mai inserita all’interno dell’album. Abbiamo la tendenza a sentire un certo distacco rispetto a ciò che è già stato pubblicato. In questo caso però , essendo un brano dal forte impatto sonoro, era giusto che non passasse inosservato ma che avesse anzi una giusta collocazione rispetto all’EP omonimo. Le abbiamo però rifatto il trucco e le abbiamo comperato degli abiti nuovi prima di farla uscire…

(Sootiness Sonsy Girl, dall’EP omonimo. Nel nuovo disco si trova in una nuova versione, ascoltabile in streaming su LetLoveGrow.it)


Siete di Torino, eppure il vostro approccio alla musica è decisamente diverso da ciò che ci si potrebbe aspettare da una città come questa. I “My Foolish Heart” non sono – più o meno – come quei negozi etnici proprio al centro della città?

Nelle intenzioni magari si. Solo che in una città come Torino anche i negozietti etnici appaiono finti e perfettamente integrati con il resto. Noi piuttosto siamo come i negozi di roba usata dove uno entra a fare un giro e ne esce 2 ore dopo avendo speso 5 euro ed essendosi portati via un sacco di roba inutile ma bellissima, oltre ad avere scoperto varie affinità e una moltitudine di amicizie in comune con il titolare del negozio. Ma questi negozi sono ormai sempre più rari. Ora comunque ci siamo trasferiti da tutt’altra parte, nel bel mezzo della campagna; l’album è stato finito qui,lontano dalla confusione e con i campanacci delle mucche in sottofondo: molto più adatto a noi…

Siete fautori, quindi, di una musica che fa viaggiare.. rientra nel vostro stile compositivo l’immergervi in un posto tutto nuovo e cercare di trasmettere le vostre emozioni a chi ascolta, con l’obiettivo di trascinarlo lì con voi?

Ci piacciono i dischi che ci riescono. Li metti su e vieni portato via in un istante. E non è detto che ti portino sempre nello stesso luogo. Ogni volta è un po’ diverso. Però sinceramente non sono sicuro che ci siamo riusciti fino in fondo. E’ certamente difficile ascoltare la propria musica con il dovuto distacco ma credo che potremmo, in futuro, migliorare da questo punto di vista.

“Ocean Ocean”, la traccia di chiusura, è come una specie di vaso in cui gettate e mescolate tutto ciò che avete dentro?

Era esattamente ciò che ci eravamo ripromessi di fare, ma ora riascoltandolo ci siamo resi conto di averci gettato dentro solo una minima parte di ciò ache avremmo dovuto. Vedremo se riusciremo in futuro nell’impresa. Un po’ come Swordfishtrombone di Tom Waits

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